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Venerdì, 28 Dicembre 2018 09:31

Le prospettive dei mercati internazionali e le emergenti situazioni di instabilità geopolitica

Pubblichiamo lo stralcio della relazione introduttiva tenuta dal Prof. Avv. Roberto Ceccon all'apertura del convegno "Le prospettive dei mercati internazionali e le emergenti situazioni di instabilità geopolitica" organizzato dallo Studio e svoltosi  il 27 novembre 2018 presso l'Aula Magna dell'Università di Padova.

"Mi preme evidenziare che il motore ispiratore di questo incontro nasce dalla convinzione di essere sempre più inequivocabilmente legati ad un sistema complesso di relazioni dal quale nessuno si può sottrarre. Il che rende indispensabile capire in quale modo e in che misura debbano operare gli attori istituzionali, in questo teatro multirelazionale, ben consapevoli che anche di fronte a formali spinte di tipo autarchico o nazionaliste i conti finali andranno fatti con realtà che prescindono dai confini e dai meri interessi domestici.

Oggi, l’economia, il diritto, le trasformazioni geopolitiche, i movimenti delle grandi masse migratorie, gli equilibri finanziari internazionali, la tecnologia digitale, INTERNET, la politica internazionale, il sistema su cui si fondano gli scambi internazionali, siano essi di merci, servizi, persone e capitali, fanno tutti parte di un unico sistema strettamente interconnesso.

Ogni impresa, dopo la crisi del 2008, ha dovuto prendere ancor di più coscienza del fatto che i confini del mercato domestico sono insufficienti per garantire la sopravvivenza dell’impresa stessa, e solo una visione strategica che guardi oltre il mercato domestico può avere un senso. E tale approccio dovrebbe valere, a maggior ragione, anche per lo Stato che è chiamato, attraverso i suoi governanti, a sviluppare programmi di crescita e di miglioramento delle condizioni di vita dei suoi cittadini.

Un tempo esisteva un’economia a mercato nazionale che coincideva sostanzialmente con lo Stato e con il quale l’imprenditore si confrontava; poi questo mercato si è sempre di più aperto coinvolgendo relazioni transnazionali che hanno sviluppato il commercio internazionale; per giungere infine ad una economia a mercato globale, quella dei nostri giorni, nella quale non sono solo le merci che si intrecciano in una circolazione interstatuale, ma anche la stessa organizzazione produttiva e distributiva si dislocano fuori dei confini nazionali. In altri termini si assiste oggi alla instaurazione di quello che Karl Marx stigmatizzava come mercato mondiale implicante una universale dipendenza delle nazioni l’una dall’altra.

Se così è, ci troviamo di fronte alla necessità di capire quali siano gli effetti dei mutamenti geopolitici che sono in continuo divenire sulle prospettive dei mercati internazionali sia in termini di crescita ma, a mio avviso, soprattutto gli effetti dei condizionamenti che possono derivare da questi mutamenti e con i quali il mondo delle imprese deve gioco forza confrontarsi quotidianamente. Per fare un solo eclatante esempio basti richiamare quali e quanti cambiamenti sono derivati dall’attacco dell’11 settembre alle Twin Towers.

In questa ampia prospettiva vengono in risalto: i ruoli delle economie dei paesi in via di sviluppo e dei paesi emergenti rispetto a quelli delle economie dei paesi occidentali; i nuovi equilibri che si formeranno nell’area mediterranea se e quando sarà trovata una soluzione alla questione libica; come si ridefinirà l’egemonia nell’area medio orientale nello scontro tra Iran (sciita) e i suoi storici nemici (sunniti), fino a poco tempo fa limitati al mondo saudita e ora inaspettatamente sostenuti da Israele; gli effetti del tutto inattesi e di certo imponderabili che deriveranno dall’ipotizzato Deal of the Century che vedrebbe come parti di tale accordo Arabia Saudita – Emirati Arabi – Israele e Stati Uniti; o ancora quale sarà la forza deflagrante della cyber war non solo nel contesto geopolitico in senso stretto ma anche sul piano della sicurezza delle imprese, dei traffici e, soprattutto, della sicurezza degli Stati e dei mercati.

Tutto ciò rende complesso e di difficile lettura quel mercato mondiale (per tornare a Marx) o globale che non rimane di certo indifferente alle tematiche surrichiamate. Prova ne sia la propensione sempre più protezionistica degli Stati Uniti confermata dalla recente guerra dei dazi con la Cina, scatenata dal presidente Trump, piuttosto che le recenti rinnovate sanzioni USA contro l‘Iran, alle quali hanno fatto immediatamente eco le reazioni di numerosi paesi del tutto indisponibili a subire passivamente le decisioni unilaterali di chi si propone e si autolegittima, da un lato, come “gendarme del mondo” e dall’altro, come garante di un nuovo trend nazionalistico.

Vero è che il sistema delle relazioni internazionali gode di certi presidi; così il WTO (World Trade Organization) per il commercio internazionale, oggi peraltro in manifesta crisi, il GATT per la disciplina delle tariffe e del commercio internazionali che ha lo scopo di favorire la liberalizzazione del commercio mondiale e il G20, nato nel 1999, che - come sappiamo - riunisce i capi di stato e di governo dei paesi avanzati e in via di sviluppo e rappresenta i due terzi del commercio e della popolazione mondiale e l'80% del PIL mondiale. Tuttavia queste istituzioni sovranazionali non sempre si sono dimostrate utili allo scopo per il quale sono nate. Tant’è che esistono significative restrizioni al commercio internazionale, come pure il rapporto tra economie dei paesi avanzati e quelli in via di sviluppo non può certo ritenersi ottimale grazie all’azione del G20.

Ebbene in tale complessa realtà si colloca inevitabilmente anche il nostro Paese, l’Italia, che necessita una visione e una strategia capaci di relazionarsi in modo competente ed efficace con queste tematiche, evitando di rincorrere scenari limitati e di impronta schiettamente domestica ma che oggi si fa notevole fatica solo a intravedere.

L’Italia fa parte del mondo e il mondo pretende attori competenti. Diversamente il futuro sarà un futuro da gregari e l’imprenditoria italiana non merita certo questo ruolo in quanto ha bisogno di essere sostenuta nella competizione internazionale da un Paese che la sappia valorizzare e che goda del rispetto di tutti i players.

L’Italia - ci ricorda Lucio Caracciolo in un suo recente editoriale – ha un indubbio peso strategico, ponendosi nell’area mediterranea come ideale piattaforma logistica lungo le rotte commerciali in evoluzione fra due dei tre mercati maggiori del pianeta, l’asiatico e l’europeo….ed è la terza potenza economica dell’Eurozona, ottava o nona su scala mondiale.

In questo quadro, si inserisce anche il bisogno di un nuovo sistema di regole che superi gli ordinamenti nazionali, sovrapponendosi a loro in una dimensione più ampia e capace di cogliere le vere esigenze di chi opera sui mercati. Un nuovo ius mercatorum o meglio uno ius mercatorum condiviso e accettato e non più condizionabile da scelte politiche egoistiche e preclusive della libertà di fare impresa, che si manifestano in diktat sanzionatori contro questo o quel “nemico” e che altro non sono che un modo per limitare lo spazio economico di un dato paese.

La realtà del commercio internazionale si è imposta nella prassi quotidiana degli affari come una via obbligata per tutte le imprese. E tale via deve essere una via efficiente e protetta da qualsiasi ingerenza. Il crescere a dismisura di mezzi sempre più sofisticati di comunicazione e di trasmissione di informazioni, dalle più semplici alle più complesse, ha svincolato le imprese dalle dimensioni regionali consentendo loro di localizzare le loro produzioni nelle aree più efficienti in termini di costo/qualità, realizzando così il mercato globale. Di qui il sempre maggior sforzo a delocalizzare e a creare nuove aree di ricchezza, intese come realizzazione di posti di lavoro in zone emarginate, trasferimento di risorse tecnologiche, creazione di professionalità e aumento del grado di sviluppo dei mercati locali.

Questa situazione, che porta con sé anche molte realtà negative, non ultima una progressiva distruzione dell’ambiente in cui si vive e una forsennata corsa verso una “virtualizzazione” del mondo e di tutti i rapporti interpersonali, ha generato e genera profondi mutamenti anche nella fissazione delle regole che presiedono o dovrebbero presiedere all’ordinato svolgimento delle relazioni tra Stati e tra individui.

Non è più possibile confidare in modo assoluto nelle leggi che promanano dagli organi legislativi dei vari parlamenti nazionali, in quanto molto spesso esse intervengono troppo tardi per regolare situazioni in continua evoluzione e difficilmente cristallizzabili in norme astratte; i giudici nazionali spesso si trovano in difficoltà a giudicare su fattispecie che, per effetto di una sempre più diffusa internazionalizzazione dei mercati, trovano il loro fondamento in principi e regole proprie di altri ordinamenti o sono espressione di prassi estremamente sofisticate e particolari.

In altre parole il diritto, la legge nella sua accezione tradizionale non è più sufficiente a regolare gli innumerevoli flussi interrelazionali, per cui è necessario trovare nuovi meccanismi in grado di dare affidabilità e certezza agli operatori e ai destinatari del nuovo e costante sviluppo mercatoriale senza, però, abbandonare il sistema degli accordi multilaterali che dovrebbero acquisire un’efficacia più diretta e pregnante tra i paesi che ne sono firmatari. Ciò al fine di evitare situazioni simili a quelle che hanno visto gli Stati Uniti recedere l’anno scorso dall’Accordo di Parigi sui mutamenti climatici.

Di qui l’esigenza di un ordine giuridico che sappia essere fonte di certezza anche in presenza di eventi che alterano le condizioni di stabilità dei mercati in quanto dipendenti da situazioni geopolitiche conflittuali.

Il tema a questo punto è molto complesso ma diventa necessario capire se nella dinamica dei mercati internazionali le variabili politiche o meglio geopolitiche possano essere delle variabili indipendenti. Se così fosse ci troveremmo in un sistema economico internazionale del tutto impermeabile il che realizzerebbe, in un certo qual modo, l’utopia fichtiana dello Stato commerciale chiuso. Ma così non è e non può essere, e la prova viene dalla semplice considerazione di ciò che la realtà quotidiana ci offre continuamente."

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