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Giovedì, 28 Ottobre 2010 02:00

Dal Made in Italy al "Made in" europeo

Il Parlamento Europeo nella seduta plenaria del 21 ottobre 2010 ha approvato, a larghissima maggioranza, il testo di un regolamento comunitario ("Indicazione del paese di origine di taluni prodotti importati da paesi terzi") che intende istituire l'obbligo dell"indicazione di origine (la nota dicitura "Made in ...") per numerose categorie di prodotti destinati al consumo importati da Paesi estranei all'Unione Europea. Il documento legislativo dovrà ora passare al vaglio del Consiglio, il quale potrà approvarlo così come licenziato dal Parlamento oppure apportarvi ulteriori emendamenti.

Si tratta comunque di un passo di grande importanza nel settore della politica economica europea, nel quadro della tutela del mercato interno e della trasparenza dei commerci a vantaggio dei consumatori.

Per il nostro Paese il regolamento costituirà verosimilmente un nuovo ostacolo alla concreta applicabilità della Legge Reguzzoni-Versace (Legge 8 aprile 2010 n. 55) sull"etichettatura obbligatoria e la tutela del "Made in Italy" nei settori del tessile, delle calzature e delle pelletterie, approvata dal Parlamento italiano la scorsa primavera con maggioranze amplissime ed un forte consenso politico trasversale. Questa legge istituisce, in particolare, un nuovo sistema di etichettatura per tutti i prodotti dei settori tessile, delle pelletterie e delle calzature con obbligo di indicazione, tra l'altro, dell'origine geografica della merce, nonché la facoltà per l'imprenditore di utilizzare la dicitura "Made in Italy" nei suddetti settori merceologici solamente se almeno due fasi di lavorazione vengono svolte sul territorio italiano.

A dire il vero la Legge Reguzzoni ha conosciuto, fin dalla sua entrata in vigore, vicende poco incoraggianti circa la sua effettiva applicazione. Invero gli articoli nn. 1 e 3, relativi rispettivamente all'etichettatura obbligatoria sull'origine ed ai requisiti necessari per l'indicazione "Made in Italy" sui prodotti, sarebbero dovuti entrare in vigore il 1° ottobre 2010 (con un differimento di circa 5 mesi rispetto alle restanti parti della legge in questione), al fine di consentire, nel lasso di tempo decorrente dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, la notifica del testo legislativo alla Commissione Europea, che avrebbe dovuto pronunciarsi sulla sua compatibilità con il diritto comunitario, e l'emanazione da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze e con il Ministero per le Politiche Europee, dei regolamenti attuativi previsti dall'art. 2, i quali avrebbero dovuto disciplinare "le caratteristiche del sistema di etichettatura obbligatoria e di impiego dell'indicazione «Made in Italy», di cui all'articolo 1, nonché le modalità per l'esecuzione dei relativi controlli".

Ebbene tale dilazione non ha affatto generato il risultato sperato: da un lato la Legge 55/2010 è stata effettivamente notificata alla Commissione Europea, la quale però con nota della Direzione Generale Impresa e Industria n. 518763 del 28 luglio 2010 ha manifestato un parere decisamente contrario alla sua compatibilità con il diritto comunitario, attese le restrizioni che potrebbe causare alla concorrenza ed alla libera circolazione delle merci sul territorio europeo.

Dall'altro lato, ad oggi non sono ancora stati emanati i summenzionati regolamenti di attuazione, nonostante gli articoli 1 e 3 siano formalmente in vigore dallo scorso 1° ottobre 2010.

A tale riguardo l'Agenzia delle Dogane, con propria nota n. 119919/RU del 22 settembre 2010, ha precisato che nell'espletamento della propria attività di controllo non considererà applicabili le nuove disposizioni sull'etichettatura nei settori considerati dalla Legge 55/2010 sino a quando non saranno adottati i decreti interministeriali attuativi di cui sopra.

Alla luce del surrichiamato provvedimento dell'autorità doganale, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha adottato in data 30 settembre 2010 una direttiva nella quale si conferma l'orientamento secondo cui la Legge 55/2010 non sarà ritenuta applicabile sino a quando non saranno emanati i regolamenti attuativi, invitando tutte le amministrazioni pubbliche eventualmente interessate dalla normativa in oggetto ad attenersi a questo indirizzo interpretativo e dunque a non applicare le disposizioni sull'etichettatura obbligatoria dei prodotti tessili, delle pelletterie e delle calzature.

Il nuovo regolamento europeo sull'etichettatura obbligatoria sembra quindi non offrire grandi speranze all'effettiva adozione dei regolamenti ministeriali necessari a rendere operativo il sistema di tutele approntato dalla Legge Reguzzoni, la quale anzi dovrebbe ritenersi del tutto inapplicabile, quanto meno per ciò che riguarda l'obbligo di etichettatura, nel momento in cui dovrà lasciare il posto al sistema di etichettatura obbligatoria disciplinato da una fonte di rango superiore quale il regolamento comunitario e, si presume, del tutto sovrapponibile a quello predisposto dalla Legge Reguzzoni.

In ogni caso, nell'attesa che il regolamento venga adottato in sede europea, per quanto riguarda il nostro ordinamento, la tutela del consumatore contro le indicazioni non veritiere sull'origine dei prodotti rimane assicurata da una serie di norme che approntano forme di protezione e sanzioni sia in sede penale che amministrativa.

Nella specie, si fa riferimento a:

art. 517 codice penale, che punisce con la reclusione fino a due anni e la multa fino a € 20.000,00 la vendita di prodotti industriali con nomi, marchi o segni distintivi idonei ad indurre in inganno l'acquirente sull'origine, la provenienza o la qualità dei prodotti;

- art. 4, comma 49, della L. n. 350/2003 (Legge finanziaria 2004), che fa rientrare nell'ipotesi di reato di cui all'art. 517 cod. pen. anche la commercializzazione di prodotti con indicazioni di origine e/o di provenienza (ad esempio "made in ...", "manufactured by...", "designed by...") false o fuorvianti;

- art. 16 del D.L. n. 135/2009 (decreto "salva-infrazioni" del 2009), che sanziona con la pena di cui all'art. 517 c.p., aumentata di un terzo, l'uso di indicazioni di vendita quali "100% Made in Italy" o simili che convincano falsamente circa l'intera realizzazione in Italia di un prodotto;

- art. 4 comma 49 bis della L. n. 350/2003, che dispone l'inflizione di una sanzione amministrativa di importo tra € 10.000,00 e € 250.000,00 per chi utilizza un marchio con modalità tali ingannare il consumatore sull'origine italiana di un prodotto;

- artt. 21 - 23 del Codice del consumo sulle pratiche commerciali ingannevoli.

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